ANNO 25 n° 109
Il fatto non sussiste: assolto D'Ascanio
Ieri la sentenza del tribunale dopo sette anni di processo
16/09/2015 - 13:28

VITERBO - Assoluzione piena, secondo l’articolo 530 del codice penale, la vecchia assoluzione ''perché il fatto non sussiste''. Questa sentenza, arrivata oggi poco dopo le 13 dal tribunale di Viterbo, chiude in modo felice la vicenda giudiziaria di Silvano D’Ascanio, imprenditore viterbese, titolare dell’agenzia pubblicitaria Studio Uno e già editore di questo giornale.

 

D’Ascanio era stato rinviato a giudizio insieme ad altre persone in un filone dell’inchiesta Love’s House, condotta nel 2007 da polizia e carabinieri. Era accusato di sfruttamento della prostituzione per la raccolta pubblicitaria di annunci erotici, poi pubblicati sulle pagine del Corriere di Viterbo. Un reato, secondo le accuse dei pubblici ministeri D’Arma e Tucci, che chiedevano per l’imputato 2 anni e 10 mesi di carcere. Di opinione contraria il giudice, che oggi ha assolto D’Ascanio.

 

''Una sentenza che accogliamo con soddisfazione – dice l’avvocato di D’Ascanio, Marco Ricci – e che ci aspettavamo, perché riconosce pienamente le nostre ragioni e riabilita pienamente Silvano D’Ascanio''.

 

Già, le tesi difensive sull’estraneità dell’imprenditore e sulle ragioni prettamente professionali dell’attività (la raccolta pubblicitaria, appunto) sono state accolte. Restano però i segni di un’odissea giudiziaria che si è protratta dal 2007 ad oggi, tra rinvii e ritardi dovuti sì alla complessità del procedimento (erano tante le parti coinvolte) ma emblematici della giustizia italiana. Un percorso doloroso e difficile, per chi si è trovato sotto accusa, e lenito soltanto in parte dalla sentenza assolutoria.

 

''Il processo non era incentrato soltanto su D’Ascanio – precisa Ricci –, quando si è arrivati ai distinguo la sua posizione è apparsa chiara: non ha commesso alcun reato''.

 

Altri tre imputati – proprietari delle case finite in cui secondo gli inquirenti sarebbe dovuta svolgersi attività di prostituzione – sono stati assolti, mentre un quarto è stato condannato a due anni e due mesi e a 600 euro di multa.




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