ANNO 25 n° 79
L'Enel: ''Non esistono più le condizioni di mercato per il rilancio dell'impianto''
La società incontrerà sindacati e aziende, ma conferma i tagli al personale
24/05/2014 - 10:47

MONTALTO DI CASTRO - ''La centrale 'Alessandro Volta', in esercizio dal 1992, da tempo ha ridotto drasticamente la produzione rispetto agli anni scorsi e non sussistono le condizioni di mercato per ipotizzare una ripresa''. Così, con poche e asettiche righe, l'Enel ha intonato il de profundis per l'impianto di Pian De' Gangani. E, quindi, ha indirettamente ribadito l'ineluttabilità del taglio di circa il 50% dei lavoratori delle imprese esterne che si sono aggiudicate varie appalti all'interno della centrale, nonché il trasferimento di una quarantina di suoi dipendenti alla vicina centrale di Torre Valdaliga a Civitavecchia, recentemente convertita a carbone.

Tuttavia, l'azienda elettrica ha manifestato al sindaco di Montalto di Castro Sergio Caci la disponibilità ad incontrare, nei prossimi giorni, i sindacati e i rappresentanti delle imprese impegnate nell'impianto. Ma le speranze di un'evoluzione positiva della situazione sono pressoché inesistenti. L'azienda elettrica, infatti, si presenterà al summit ''per rappresentare l'evoluzione della presenza Enel a favore del territorio, in relazione alla situazione industriale e del mercato dell'energia nel Paese''. Un po' come dire: ''Incontriamoci pure, ma sappiate che non c'è trippa per gatti''.

Intanto, a Montalto di Castro e dintorni si fanno sempre più insistenti le voci che vorrebbero già decisa dall'Enel la definitiva chiusura della ''Alessandro Volta''. Una centrale costata almeno 7mila miliardi di vecchie lire, ai quali vanno aggiunti almeno altri 10-12mila miliardi gettati al vento per l'attigua centrale nucleare mai completata. Un gigantesco monumento alla dissipazione di denaro pubblico ancorché di terreni agricoli di pregio.

L'ingloriosa fine della centrale ''Alessandro Volta'' era in qualche modo annunciata. Dopo il disastro della primavera del 1986 a Chernobyl, in Ucraina, fu indetto il referendum che, l'ano dopo, stoppa la costruzione delle centrali nucleari in Italia. A quel punto, l'Enel e le azienda fornitrici, alcune delle quali erano nate proprio in funzione di Montalto di Castro, iniziarono a rivendicare i danni e il pagamento delle componenti ordinate e non ancora utilizzate, a cominciare dal grande reattore atomico destinato a Pian De' Gangani. Inoltre, l'Enel cominciò a paventare in modo sempre meno velato di rischio blackout.

Si arrivò così alla decisione di costruire, accanto alla quella che avrebbe dovuto essere la centrale nucleare, un impianto policombustibile da 3.200 Megawatt: quattro volte più potente di quello atomica.

Ma la centrale bis di Montalto di Castro non era, come quelle che si stavano costruendo in tutto il mondo, a ciclo combinato. Era quindi inevitabile che i costi di esercizio sarebbero presto diventati insostenibili. E no fu un affare nemmeno dal punto di vista ambientale. L'inghippo stava - è sta - dietro la l'aggettivo qualificativo ''policombustibile''. Quando il governo approvò la delibera Cipe che concedeva incentivi ai produttori di energia pulita, alla parola ''rinnovabile'' aggiunse ''e assimilate''. Una vera e propria manna dal cielo per i petrolieri e non solo, che intascarono cifre astronomiche facendo bruciare nelle centrali Enel, quindi anche a Montalto di Castro, i cosiddetti ''Tar'', che non sono i tribunali amministrativi regionali, ma gli scarti della lavorazione del petrolio. Inquinati e maziati. 

Quello per la costruzione della centrale ''Alessandro Volta'' è stato per alcuni lustri il più grande cantiere d'Europa. Ora sta si accinge a diventare una delle più grandi carcasse industriali del continente. Costata almeno 250 euro a testa a oltre 60 milioni di italiani.




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