ANNO 25 n° 88
Nella 'ndrangheta per salvare l'azienda
Ecco come i fratelli Corso iniziarono a riciclare denaro sporco
13/05/2013 - 04:00

VITERBO – Nei primi anni del 2000, in occasione di una delle tante annatacce per la produzione di castagne, la cui commercializzazione rappresentava la parte più cospicua della loro attività, Alberto e Augusto Corso, i due fratelli di Canepina arrestati nell’ambito dell’operazione ''El Dorado'', fecero un investimento azzardato: acquistarono in varie parti d'Italia e probabilmente all’estero un'imponente quantità di castagne. Gli andò bene. Molto bene. Con i forti guadagni decisero di tentare il salto di qualità e costruirono la Ortofrutticola Cimina, che oltre a loro, dava lavoro a vari familiari e non solo.

Per qualche tempo, la ruota dei Corso continuò a girare. E più la ruota girava più si alzava il loro tenore di vita. Poi, improvvisamente con la crisi economicha, arrivarono le difficoltà. Il giro d’affari iniziò a restringersi fino a spingerli sull’orlo del fallimento. Durante il periodo d'oro, Alberto Corso aveva conosciuto i Nucera residenti a Graffignano. Gli parlò delle sue difficoltà economiche. Da qui, secondo l’accusa, la proposta di riciclare i soldi sporchi della 'ndrangheta che Alberto Corso avrebbe accettato senza esitazione, al punto di diventare, sempre secondo la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, ''organico'' alla 'ndrina di Gallicianò.

Ora la Ortofrutticola Cimina con tutti i costosi macchinari, i grandi camion e altri loro beni sono stati posti sotto sequestro. E' stata sequestrata anche l'Immobiliare Cimina, un'altra azienda riconducibile ai Corso, ma si tratterebbe di una scatola vuota. Da utilizzare, forse, solo per coprire eventuali movimenti di denaro. Ma i loro conti correnti ono pressoché a secco. Tanto che non avrebbero nemmeno i soldi per pagare gli avvocati difensori e far fronte ai debiti accumulati.

Giuseppe Nucera, 67 anni, invece, era partito da Gallicianò, piccolo centro dell’Aspromonte di appena 200 abitanti per trasferirsi in provincia di Viterbo. Possedeva solo un vecchio e scassatissimo furgone. Dopo soli cinque mesi, quel mezzo venne sostituito da un decina di furgoni nuovi e costosissimi. La circostanza non sfuggì ai carabinieri, che segnalarono immediatamente ai loro superiori l’improvviso arricchimento di Giuseppe Nucera e della parentela varia che lo aveva seguito a Graffignano.

In pochi giorni l'informativa finì sui tavoli alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Partirono così le lunghe e complesse indagini sfociate nell'operazione ''El Dorado'' che ha portato in carcere 22 persone, 6 delle quali nel Viterbese, accusate a vario titolo di dell’associazione di tipo mafioso, riciclaggio e, in un caso, di detenzione illegale di armi.

Secondo l'accusa, furono proprio Giuseppe Nucera e Antonio Nucera, 57 anni, ad individuare la Tuscia come il luogo dove ''lavare'' fiumi di denaro sporco della 'ndrangheta. E furono sempre i Nucera ad ''agganciare'' Alberto Corso. I due avrebbero riciclato per conto delle 'ndrine circa 600mila euro, che sarebbero stati reinvestiti nelle ditte Nucera Trasporti, Vitercalabra e Ortofrutticcola Cimina.




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