ANNO 25 n° 110
Adoro le liste
>>>>>>>> di Massimiliano Capo <<<<<<<<
22/09/2014 - 09:55

di Massimiliano Capo

Mi ricordo di un giornale di tanti anni fa che si chiamava Tango ed era l’inserto satirico de L’Unità. Il primo, a cui poi seguì Cuore.Erano gli anni ottanta del novecento, diciamo un’altra era geologica.L’Unità al tempo era l’organo, e già la definizione rende l’idea dei tempi e dei luoghi, dell’allora Partito Comunista Italiano. Insomma, il partito con la p maiuscola e il suo serissimo giornale, quello che dava la linea anche quando non c’era e che era letto da centinaia di migliaia di fedeli militanti in tutto il paese.Non ricordo più se Tango o Cuore decisero di aprire una sorta di versione ante litteram degli odierni social chiedendo ai lettori di stilare una lista delle X cose per cui vale la pena vivere e si presero anche l’onere di non censurare le risposte.Vinse a mani basse leccare la fica come era facilmente prevedibile.E questo risultato, molto più della più o meno coeva caduta del muro di Berlino contribuì alla dissoluzione del partito con la p maiuscola.Ora, perché mi è tornata in mente questa cosa? E cosa c’entra soprattutto dopo quasi trent’anni? Le ragioni sono due. E piccolissime.La prima è che adoro le liste.Cioè, tipo quei giochini che in queste settimane imperversano su Facebook in cui, chiamati da un qualche amico, ci si ritrova a dover indicare i dieci libri più amati, i dieci film preferiti e giù fino a qualunque altra cosa passi per la testa di chi ci nomina.Ecco, io adoro le liste. Le adoro proprio, ma proprio.Umberto Eco ha ricostruito con la sua sapienza la genealogia e la vertigine che le liste sanno dare e io, che non sono Umberto Eco e tantomeno un sapiente, le trovo semplicemente irresistibili.Le cerco e le leggo da sempre.Da quando le domeniche pomeriggio erano piene di niente e le passavo ascoltando vinili gracchianti e leggendo riviste che avevano dell’esoterico raccontando di dischi introvabili e di suoni tanto meravigliosi quanto impossibili da ascoltare.E anche lì, su quelle rivistine, le liste erano la cosa che leggevo per prima, spesso l’unica.La lista dei migliori dischi del mese, delle migliori canzoni, dei migliori look. E poi le ricopiavo e ci mettevo un segno di spunta quando trovavo qualcuno di quei tesori in giro per i negozi in cui passavo quasi tutti i giorni.Non so se esista anche una spiegazione di tipo psicologico e certamente anche su questo qualcuno si sarà esercitato e allora per certo sarà segno di qualcosa che ha a che fare con una deviazione dalla norma del rapporto coi propri genitori.Nel caso, mi prendo anche questa sulle spalle e continuo a leggere liste in ogni dove e su ogni argomento e a fare liste a mia volta.Ecco, le liste hanno il potere e la forza di dare una dimensione geografica al nostro mondo. Di disegnare la nostra vita attraverso dei segnavia posti qua e là lungo il corso della nostra piccola esistenza.C’è una tavola molto bella dentro Capitan Harlock in cui uno di quei cippi posti lungo le strade a segnarne nome e posizione vaga perso nello spazio e la voce narrante del manga si fa una domanda, apparentemente banale, sulla tristezza di quell’oggetto che nello spazio infinito ha perso la sua funzione.Ecco, le liste, quei punti lungo la mappa della nostra vita, hanno questa funzione: impedirci di perdere il senso del nostro percorso. Non sono un punto di arrivo e non sono un punto di partenza. Sono un segno, una traccia, una costante biforcazione, diramazione, dirottamento, convergenza temporanea e smistamento continuo dei percorsi mentali, dei significati e della stessa scrittura. C’è un termine francese per dire tutto questo e che a me piace assai: è biffures, che è anche il titolo di un libro bellissimo di Michel Leiris, che vale il significato appena detto e anche quello di cancellature, piste cancellate o false piste da cancellare.È un termine aperto, mutante, mobile che racconta una vita nomade. Più attenta ai percorsi che non ai punti di approdo.Il buon vecchio Hemingway diceva che l’importante è connettersi e non si riferiva ad internet ma alla necessità, al bisogno umanissimo di raccontare le proprie storie.E questa è la seconda piccolissima ragione per cui mi è tornata in mente quella lista di trenta anni fa.Sta tutta dentro il desiderio di condividere, di aprire spazi nella memoria di esperienze vissute e nella possibilità di farne nascere ancora di nuove.Che poi a pensarci bene è quello che accade ogni giorno attraverso la rete e un giochino apparentemente banale come mettere ordine alle cose che ci sono piaciute leggendo.E siccome io adoro leggere sdraiato sul divano ecco la ricetta ideale per accompagnare la lettura negli stanchi pomeriggi delle domeniche di questa stagione indefinibile (anche lei figlia di una imprevista connessione di rete). Pancake come li fa Martina. Farina 125 gBurro 25 gSale la punta di un cucchiainoUova 2Latte 200 mlLievito chimico in polvere6 gZucchero 15 gIniziamo dividendo gli albumi dai tuorli. Versiamo i tuorli in un recipiente, dove, miscelando con i rebbi di una forchetta, aggiungiamo il latte e il burro fuso. Mescoliamo tutti gli ingredienti e poi aggiungiamo il lievito e la farina preventivamente mischiati e setacciati.Montiamo i bianchi d’uovo insieme al pizzico di sale e lo zucchero a neve piuttosto morbida (assolutamente non ferma) e uniamoli al composto di latte uova e burro e farina, molto delicatamente. Mettiamo a scaldare su fuoco medio un pentolino antiaderente del diametro di 10/12 cm e spennellatelo con un filo di burro. Versiamo al centro del pentolino un mestolino di preparato, e lasciamo che si espanda da solo: quando il pancake sarà dorato, giriamo sull’altro lato per mezzo di una spatolina, come se fosse una crepe o una frittata, quindi facciamo dorare a sua volta anche l'altro lato e dopodichè saranno pronti. Appena tolti i pancakes dalla padella (con questa dose dovremmo riuscire a farne 12), poggiamoli su di un piatto, impiliamoli uno sopra l'altro e serviamoli caldi e cosparsi di zucchero a velo e sciroppo d’acero. Potete accompagnare i pancakes con della frutta fresca o sciroppata di vostro gusto.

Mi ricordo di un giornale di tanti anni fa che si chiamava Tango ed era l’inserto satirico de L’Unità. Il primo, a cui poi seguì Cuore. Erano gli anni ottanta del novecento, diciamo un’altra era geologica. L’Unità al tempo era l’organo, e già la definizione rende l’idea dei tempi e dei luoghi, dell’allora Partito Comunista Italiano. Insomma, il partito con la p maiuscola e il suo serissimo giornale, quello che dava la linea anche quando non c’era e che era letto da centinaia di migliaia di fedeli militanti in tutto il paese.

 

Non ricordo più se Tango o Cuore decisero di aprire una sorta di versione ante litteram degli odierni social chiedendo ai lettori di stilare una lista delle X cose per cui vale la pena vivere e si presero anche l’onere di non censurare le risposte.Vinse a mani basse leccare la fica come era facilmente prevedibile.E questo risultato, molto più della più o meno coeva caduta del muro di Berlino contribuì alla dissoluzione del partito con la p maiuscola.

Ora, perché mi è tornata in mente questa cosa? E cosa c’entra soprattutto dopo quasi trent’anni? Le ragioni sono due. E piccolissime. La prima è che adoro le liste. Cioè, tipo quei giochini che in queste settimane imperversano su Facebook in cui, chiamati da un qualche amico, ci si ritrova a dover indicare i dieci libri più amati, i dieci film preferiti e giù fino a qualunque altra cosa passi per la testa di chi ci nomina.

 

Ecco, io adoro le liste. Le adoro proprio, ma proprio.Umberto Eco ha ricostruito con la sua sapienza la genealogia e la vertigine che le liste sanno dare e io, che non sono Umberto Eco e tantomeno un sapiente, le trovo semplicemente irresistibili. Le cerco e le leggo da sempre. Da quando le domeniche pomeriggio erano piene di niente e le passavo ascoltando vinili gracchianti e leggendo riviste che avevano dell’esoterico raccontando di dischi introvabili e di suoni tanto meravigliosi quanto impossibili da ascoltare.E anche lì, su quelle rivistine, le liste erano la cosa che leggevo per prima, spesso l’unica.

La lista dei migliori dischi del mese, delle migliori canzoni, dei migliori look. E poi le ricopiavo e ci mettevo un segno di spunta quando trovavo qualcuno di quei tesori in giro per i negozi in cui passavo quasi tutti i giorni.Non so se esista anche una spiegazione di tipo psicologico e certamente anche su questo qualcuno si sarà esercitato e allora per certo sarà segno di qualcosa che ha a che fare con una deviazione dalla norma del rapporto coi propri genitori.

Nel caso, mi prendo anche questa sulle spalle e continuo a leggere liste in ogni dove e su ogni argomento e a fare liste a mia volta.Ecco, le liste hanno il potere e la forza di dare una dimensione geografica al nostro mondo. Di disegnare la nostra vita attraverso dei segnavia posti qua e là lungo il corso della nostra piccola esistenza.

C’è una tavola molto bella dentro Capitan Harlock in cui uno di quei cippi posti lungo le strade a segnarne nome e posizione vaga perso nello spazio e la voce narrante del manga si fa una domanda, apparentemente banale, sulla tristezza di quell’oggetto che nello spazio infinito ha perso la sua funzione.Ecco, le liste, quei punti lungo la mappa della nostra vita, hanno questa funzione: impedirci di perdere il senso del nostro percorso. Non sono un punto di arrivo e non sono un punto di partenza. Sono un segno, una traccia, una costante biforcazione, diramazione, dirottamento, convergenza temporanea e smistamento continuo dei percorsi mentali, dei significati e della stessa scrittura.

C’è un termine francese per dire tutto questo e che a me piace assai: è biffures, che è anche il titolo di un libro bellissimo di Michel Leiris, che vale il significato appena detto e anche quello di cancellature, piste cancellate o false piste da cancellare.È un termine aperto, mutante, mobile che racconta una vita nomade. Più attenta ai percorsi che non ai punti di approdo.Il buon vecchio Hemingway diceva che l’importante è connettersi e non si riferiva ad internet ma alla necessità, al bisogno umanissimo di raccontare le proprie storie.E questa è la seconda piccolissima ragione per cui mi è tornata in mente quella lista di trenta anni fa.Sta tutta dentro il desiderio di condividere, di aprire spazi nella memoria di esperienze vissute e nella possibilità di farne nascere ancora di nuove.Che poi a pensarci bene è quello che accade ogni giorno attraverso la rete e un giochino apparentemente banale come mettere ordine alle cose che ci sono piaciute leggendo.

E siccome io adoro leggere sdraiato sul divano ecco la ricetta ideale per accompagnare la lettura negli stanchi pomeriggi delle domeniche di questa stagione indefinibile (anche lei figlia di una imprevista connessione di rete).

Pancake come li fa Martina.

Farina 125 g 

Burro 25 g

Sale la punta di un cucchiaino

Uova 2

Latte 200 ml 

Lievito chimico in polvere 6 g

Zucchero 15 g

Iniziamo dividendo gli albumi dai tuorli. Versiamo i tuorli in un recipiente, dove, miscelando con i rebbi di una forchetta, aggiungiamo il latte e il burro fuso. Mescoliamo tutti gli ingredienti e poi aggiungiamo il lievito e la farina preventivamente mischiati e setacciati. Montiamo i bianchi d’uovo insieme al pizzico di sale e lo zucchero a neve piuttosto morbida (assolutamente non ferma) e uniamoli al composto di latte uova e burro e farina, molto delicatamente. Mettiamo a scaldare su fuoco medio un pentolino antiaderente del diametro di 10/12 cm e spennellatelo con un filo di burro. Versiamo al centro del pentolino un mestolino di preparato, e lasciamo che si espanda da solo: quando il pancake sarà dorato, giriamo sull’altro lato per mezzo di una spatolina, come se fosse una crepe o una frittata, quindi facciamo dorare a sua volta anche l'altro lato e dopodichè saranno pronti. Appena tolti i pancakes dalla padella (con questa dose dovremmo riuscire a farne 12), poggiamoli su di un piatto, impiliamoli uno sopra l'altro e serviamoli caldi e cosparsi di zucchero a velo e sciroppo d’acero. Potete accompagnare i pancakes con della frutta fresca o sciroppata di vostro gusto.

 




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