ANNO 25 n° 118
Al via il processo d'appello per De Vito
Condannato a 7 anni per aver accoltellato il rivale in amore Emiliano Liberati,
l'assassino di Marcella Rizzello torna in aula a Roma venerdì prossimo
14/10/2015 - 12:30

VITERBO – Giorgio De Vito torna in aula. Venerdì prossimo per il 40enne napoletano, già condannato a 17 anni per l’omicidio di Marcella Rizzello, si aprirà il processo d’appello per aver tentato di uccidere il rivale in amore, l'operaio di Fabrica di Roma Emiliano Liberati. Reato per il quale è stato giudicato con rito abbreviato e condannato a 7 anni di reclusione e che, grazie alla comparazione del dna di De Vito con quello prelevato sulla scena del crimine, nella villetta dei Rizzello, fornì agli inquirenti la prova madre del delitto di Civita Castellana: era stato lo stesso De Vito ad ucciderla con trenta coltellate di fronte alla figlioletta di appena un anno.

 

È il 12 maggio 2010, esattamente tre mesi e nove giorni dopo il barbaro omicidio di Marcella, di 30 anni, caso che, ancora non è stato risolto. De Vito, attira la ex Mariola Michta e il nuovo compagno di lei, Emiliano Liberati, nel suo appartamento. Accecato dalla gelosia nei confronti della trentenne polacca, li aggredisce a colpi di coltello e di scimitarra, che teneva nascosta sotto il letto. I due, De Vito e Liberati, entrambi feriti dopo la colluttazione, il primo a una mano e il secondo anche alla schiena e al viso, finiscono in manette. Poi, qualche giorno dopo, la svolta nelle indagini dell’omicidio Rizzello: grazie alla comparazione del dna di De Vito con quello trovato nella villetta, l’allora 37enne napoletano viene riconosciuto come l’assassino di Marcella.

 

Tornando al tentato omicidio, a De Vito vengono inflitti sette anni e quindici giorni di reclusione con l’esclusione dell’aggravante della minorata difesa e la sussistenza dell’attenuante per semi infermità mentale. Ma per la difesa, rappresentata dall’avvocato Enrico Valentini, che venerdì tenterà di ottenere l’assoluzione dell’imputato o, quantomeno, una sensibile riduzione di pena, la ricostruzione dei fatti di quel 12 maggio di cinque anni non convince affatto. Primo perché si basa solo sulle dichiarazioni di Liberati e della Michta, l’uno gravato da numerosi precedenti tra cui furti in casa e l’altra, seppur mai sottoposta a perizia psichiatrica, considerata poco credibile per le sue deposizioni relative al delitto di Civita. Secondo perché, data per assodata la sentenza di condanna per aver ucciso Marcella Rizzello, De Vito è considerato chiaramente un omicida e non si sarebbe fatto scrupolo a ''finire'' con un altro colpo Liberati se il suo intento fosse stato quello di uccidere''.

 

Ecco perché, in questo caso, per la difesa, non si configurerebbe un reato di tentato omicidio ma un reato di lesioni personali, anche se gravissime. ''La versione di De Vito è più logica – insiste l’avvocato Enrico Valentini -: la Michta e Liberati si sono recati a casa sua e questi, una volta rientrato, sorpreso dalla loro presenza, ha reagito. Legittima difesa quindi, De Vito, spaventato, da solo contro due, ha cercato di difendersi''.

 

Da non sottovalutare, poi, la perizia psichiatrica sull’imputato, nodo sul quale l’avvocato Valentini si è sempre battuto: ''De Vito va curato – insiste il legale -, come hanno sostenuto gli psicologi aveva 'una capacità di intendere e di volere fortemente scemata al momento del fatto' e i numerosi test a cui è stato sottoposto hanno confermato più volte i disturbi della sua personalità. Ciò nonostante sta già scontando17 di reclusione per l’omicidio di Marcella Rizzello''.




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