ANNO 25 n° 116
Domani l'interrogatorio degli imputati
Riprende il processo in Corte d'Assise d'Appello per riduzione in schiavitù
In primo grado l'imprenditore agricolo Lucio Tombini condannato a sette anni
17/06/2015 - 10:07

VITERBO – Sarà il giorno dell’interrogatorio degli imputati al processo d’appello per riduzione in schiavitù e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che riprenderà domani, nell'aula bunker di Rebibbia, davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Roma. I giudici ascolteranno le dichiarazioni di Lucio Tombini, l’imprenditore condannato in primo grado a sette anni di reclusione, e il suo braccio destro Singh Balwinder, indiano, condannato a un anno (assolto dall’accusa più grave di riduzione in schiavitù). Il difensore di Tombini, l’avvocato Giosuè Naso, ha ottenuto dal collegio di riascoltare anche l’unica parte civile del processo, Singh Gurmer, assistito dall’avvocato Samuele De Santis, già sentito in fase d’incidente probatorio, poiché le traduzioni delle dichiarazioni di Gurmer sarebbero in alcune parti inintelligibili. Il legale ha anche chiesto e ottenuto un nuovo interprete per l’interrogatorio.

 

La vicenda ebbe inizio il 23 luglio 2011, quando a Tarquinia scattò l’operazione ''Kunta Singh'', durante la quale, gli uomini del commissariato di Ps arrestarono Tombini all’epoca dei fatti 45enne, e Balwinder. Nello stesso blitz furono liberati cinque cittadini indiani tra i ventinove e i quarantadue anni, tenuti in stato di schiavitù nell’azienda agricola di proprietà dello stesso Tombini. Secondo quanto emerso dalle indagini, i cinque indiani erano costretti a lavorare fino a quattordici ore al giorno, percepivano una paga di 100 euro al mese (anche se sulle loro buste paga ne risultavano 600) e vivevano in alcuni locali fatiscenti, privi di riscaldamento, servizi igienici e invasi da topi.

 

Agghiaccianti le loro deposizioni in sede d’incidente probatorio: hanno riferito di essere stati per circa sei anni sottoposti a ogni sorta di vessazione e di minacce, ''schiavizzati'' anche dal punto di vista psicologico, tanto che nessuno, nonostante le condizioni inumane in cui vivevano, ha avuto la forza di tentare la fuga o di denunciare il loro datore di lavoro-padrone e il suo complice. Hanno poi svelato di aver pagato fino a 15mila euro per giungere in Italia. Tra loro c’era anche un laureato in ingegneria meccanica.

 

Tombini e Balwinder, considerato colui che ha fatto da ''ponte'' tra l’imprenditore e i suoi cinque connazionali ridotti in schiavitù, sono stati in carcerazione previntiva circa un anno. Un terzo indagato, R.A., di Tarquinia, ha invece patteggiato la pena in sede di udienza preliminare ed è uscito di scena.

 

Domani, in sede di discussione, l’avvocato di parte Civile Samuele De Santis, chiederà che Tombini sia condannato a un risarcimento danni a favore di Gurmer maggiore a quello fissato in primo grado. Per Balwinder, invece, chiederà che sia rideterminato il capo d’imputazione e che gli sia contestato il Caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) e quindi un maggiore risarcimento danni a favore del suo assistito.

 

Il processo è scaturito da un'indagine avviata dalla procura della Repubblica della Direzione distrettuale antimafia quattro mesi prima dell'arresto dei due imputati.

 

 




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